L’ultimo libro, non ancora tradotto, del filosofo Giorgio Agamben (La follia di Hòlderlin. storia di vita della popolazione) E conclude con queste parole: «Da quasi un anno vivo ogni giorno con Hòlderlin, in questi mesi in uno stato di solitudine in cui difficilmente avrei immaginato di trovarmi. Quando ora lo saluto, la sua follia sembra del tutto innocente per me rispetto a quello in cui un’intera società si è precipitata senza rendersene conto”.
La follia collettiva a cui fa riferimento il filosofo italiano è quella sorta tra tutti noi a causa dell’epidemia in cui viviamo. Fin dall’inizio Agamben ha parlato con decisione – e con intensità e con sgomento di molti – delle misure adottate dai vari reparti per cercare di contenere la diffusione del virus in Italia.
Lo cattura nella versione estesa di A che punto siamo? Improvvisamente, furono messe in atto misure adottate solo durante le due guerre europee – nemmeno allora così crudelmente – e Agamben non esitò a descriverle come un “caso eccezionale”: prima il confinamento, poi il distanziamento sociale e, infine, l’isolamento che rischia di diventare un abitudine.
Con Pasolini, Will e Benjamin
Giorgio Agamben (Roma, 1942), dopo essersi laureato con una tesi sul pensiero politico di Simone Weil, negli anni Sessanta frequenta personaggi come Elsa Morante, la poetessa austriaca Ingeborg Bachmann e Pier Paolo Pasolini, nel film Il Vangelo secondo Matteo (1964) interpreta Filippo, uno degli Apostoli etnici dieci. Sempre in questo periodo frequenta i seminari tenuti da Heidegger in Provenza (Le Thor), patrocinati dal poeta René Char, testimonianza, tra l’altro, che raccoglie nel suo delizioso libro Selfie in studio (Adriana Hidalgo, 2019), dove parla con affetto anche dei suoi incontri con José Bergamín.
A Parigi dagli anni Settanta stringe amicizia con Pierre Klusovsky e Italo Calvino, e in quegli anni studia all’Univesité de Haute-Bretagne, mentre studia studi medievali (il contributo principale sarà Resti, Pre-Testi) e linguistica, uno dei personaggi principali, Émile Benveniste, è presente in quasi tutti i suoi libri. Nel 1981 Agamben scoprì negli Archivi Patay della Biblioteca Nazionale un insieme di materiale nella calligrafia di Walter Benjamin, manoscritti che il filosofo tedesco affidò a Georges Bataille prima di lasciare Parigi nel 1940. Questi materiali furono fondamentali per un’edizione di arcade, opera incompiuta del filosofo ebreo che terminò la sua vita a Portbo. Agamben ha insegnato in molte università italiane e straniere, tra cui Venezia, e ha tradotto il suo lavoro in molte lingue.
A ciò si deve aggiungere la diffusione della paura, gestita dai politici, promossa dai media apocalittici, nonché l’imposizione sempre più di un modello sano e sostenibile al concetto di vita biologica, che ha rimosso ciò che restava dell’idea di vita emotiva e spirituale.
La sfacciata sostituzione del concetto di salvezza, oggetto della fede religiosa, che ha assunto la natura mortale dell’uomo, con la salute proclamata dalla medicina, ossessionata dalla durata illusoria delle funzioni corporee, è ciò che caratterizza la nuova fede. Scienza. La preoccupante mancanza di libertà in cui ci troviamo, dice Giorgio Agamben, è stata docilmente assunta dalla maggior parte di noi perché il mondo che ci lascia ora è, di fatto, già finito e le nostre vite prima della pandemia erano già intollerabili all’epoca.
Fa notare che la mancanza di libertà è stata assunta docilmente da molti perché il mondo era già intollerabile prima.
Per comprendere le affermazioni di Agamben nel giusto contesto e il significato che le corrisponde, è necessario ricorrere all’ampio lavoro di questo appassionato lettore e traduttore della nostra cultura, il cui frutto più maturo sono i nove volumi di sant’uomo , un progetto ventennale, compreso tra il 1995 e il 2015 (edizione integrale in italiano: Quodlibet, 2018; esiste una traduzione spagnola dei testi introduttivi, ad eccezione del volume 2 in Adriana Hidalgo).
Nella singolare archeologia filosofica che pratica, Agamben mette in discussione l’intera tradizione politica dell’Occidente. Basandosi su una conoscenza approfondita delle discipline che hanno definito l’umanesimo occidentale (filosofia, teologia, diritto, antropologia, politica o linguistica), Agamben circonda gradualmente il concetto centrale della nuda vida o vita sacra: vite spogliate della virtù umana, corpi semplici che può essere manipolato legalmente o medicalmente dallo stato di terrore (Auschwitz) per soggiogarlo e controllarlo a piacimento.
Una profonda conoscenza della teologia occidentale, da sant’Agostino a Jacob Tobis, è il fondamento di un’archeologia che rispolvera le radici religiose di un mondo apparentemente laico e le permette di condannare la nascita delle nuove religioni del nostro tempo e della scienza e della scienza. Money, con le sue prospettive cupe e la sua mentalità imprenditoriale.
Il film di Holderlin “A Man Dwelling Poefully” esplora la cronaca dei 36 anni di sofferenza del poeta.
In alcuni dei suoi libri recenti (ritratto in studio, 2017 e studio, 2019), Agamben volge lo sguardo su se stesso, tendendo l’orecchio per registrare il palpitare della vita che avanza inesorabilmente nella sua continuità. Alla ricerca di una testimonianza autentica che gli dia un’idea di ciò che costituisce “l’uomo poetico che abita sulla terra” di Hölderlin, il filosofo compone in modo impressionante il racconto dei 36 anni di follia del poeta, metà della sua vita.
La sua follia era vivere nella massima sofferenza come un diktat, in cui non c’è un sé che decide da sé, ma piuttosto l’assunzione della vita come abitudine impersonale, in cui non c’è distinzione tra il privato e il pubblico. Questa è l’eredità politica del poeta.
La lezione più dura del nostro tempo è che non siamo stati creati per avere successo, e la nostra fortuna è il fallimento, soprattutto nell’arte di vivere; E qui bisogna ricordare quel verso di Hölderlin: “Dove c’è pericolo, cresce anche ciò che salva”. Colui che considera la follia poetica la vita suprema è in grado di delegittimare ogni tipo di successo.
Qui è necessario citare ancora Hölderlin: ‘Se cerco di illustrare la lezione politica che mi sembra di poter trarre dalla vita del poeta che dimora in una torre sul monte Neckar – Agamben continua a citare che ho cominciato – forse rimarranno solo pettegolezzi e chiacchiere. Non ci sono lettori. Ci sono solo parole senza titolo”. Ma la parola, come diceva un vecchio maestro tedesco, ha un grande potere, e perciò la follia di Agamben nel suo confino con Hòlderlin consiste nel testimoniare questa follia: una parola che non guarisce, ma salva.
Giorgio Agamben
Giorgio Agamben
“Appassionato di musica. Amante dei social media. Specialista del web. Analista. Organizzatore. Pioniere dei viaggi.”