Il crescente rischio povertà in Italia

Il crescente rischio povertà in Italia

(ANSA) – Roma, 25 ago. – Cresce il rischio povertà in Italia, soprattutto per bambini e lavoratori, e la situazione potrebbe complicarsi nel 2022.
Lo rivelano i dati pubblicati di recente dall’Ufficio statistico europeo (Eurostat) su povertà e disuguaglianza.
Nel 2021 c’erano 11,84 milioni di persone a rischio povertà, o reddito inferiore al 60% della mediana disponibile, al 20,1% della popolazione, rispetto al 20% nel 2020.
Se si osserva esclusione sociale, non solo nelle famiglie il cui reddito è inferiore al 60% rispetto alla media, ma anche in quelle che hanno difficoltà a reperire beni e servizi come, ad esempio, una casa ben riscaldata e alimenti proteici ogni lunedì, il intensità di lavoro, il numero delle persone in difficoltà ha superato i 14,83 milioni, il 25,2% della popolazione.
La situazione peggiora soprattutto per i bambini: i bambini in età prescolare (sotto i 6 anni) a rischio povertà rappresentano il 26,7% del totale, dal 23,8% del 2020, il numero peggiore dal 1995. Sono 667mila. Bambini, solo un leggero aumento rispetto ai 660.000 del 2020, ma il dato è influenzato dal fatto che la popolazione in questa fascia di età è diminuita.
Se il pubblico si estende alle famiglie a rischio di esclusione sociale, la percentuale di bambini sotto i sei anni in situazioni difficili sale al 31,6% dal 27% del 2020.
I dati confermano che l’Italia non è un Paese per i giovani con maggiori disagi per i bambini e per i giovani che entrano nel mercato del lavoro, mentre il rischio di povertà per gli anziani diminuisce (dal 16,8% al 15,6%) grazie alla protezione pensionistica che ha difeso negli ultimi anni dal calo dell’inflazione sul proprio reddito.
La situazione si complicherà nel 2022 con il reddito fisso che verrà sminuito in termini reali dall’aumento dei prezzi.
Eurostat ha anche evidenziato la crescente povertà dei lavoratori nel paese. I lavoratori ancora occupati a rischio povertà tra i 18 e i 64 anni sono l’11,7%, rispetto al 10,8% del 2020.
La quota cresce più rapidamente nel gruppo più giovane, al 15,3% per i lavoratori tra i 18 e i 24 anni a rischio povertà rispetto al 12,7% nel 2020.
I dipendenti sono meno a rischio (9,9%, anche in aumento rispetto al 9,3% del 2020 e il più alto dopo la Spagna) rispetto ai lavoratori autonomi (18,1% dal 16,5% del 2020).
In difficoltà incontrano soprattutto chi lavora a tempo determinato (dal 15,4% al 21,5% è a rischio povertà), ma anche chi ha un contratto a tempo indeterminato (dal 7,7% del totale nel 2020 all’8,1% nel 2021).
Sono a rischio povertà soprattutto chi ha un contratto a tempo parziale (20% del totale rispetto al 16,3% del 2020) rispetto a chi ha un contratto a tempo pieno (aumento dal 9,6% al 10,1%).
In assenza di trasferimenti sociali (come il reddito di base), la quota totale del rischio povertà era del 28,5%, rispetto al 25,3% del 2020.
Ciò è dimostrato anche osservando la distribuzione del reddito. Le categorie che indicano un deterioramento sono la classe media, mentre il primo decile (più povero) ha registrato un aumento della quota di reddito, dal 2,2% al 2,3% e l’ultimo (reddito più alto) da cui si è spostato. Dal 24,5% al ​​24,9% delle entrate.
“Il mercato del lavoro italiano – ha detto il presidente del Consiglio, Mario Draghi, al raduno di Rimini, rilevando che il tasso di occupazione è salito ai valori più alti dal 1977 – è ancora caratterizzato da salari bassi e da una diffusa instabilità, soprattutto tra i giovani. L’impatto della pandemia e il ritorno dell’inflazione sui più deboli in modo molto pericoloso”. (Ansa).

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